lunedì 21 gennaio 2008

Associazioni: in pochi o in molti? un blob o un club? fuori o dentro?


Lo spirito che unisce le imprese nell’associazionismo è sempre stato in un certo senso “contradditorio”:
Da una parte le associazioni per essere rappresentative hanno bisogno di un numero significativo di iscritti; dall’altra gli associati per poter far parte dell’associazione devono di solito rispettare un codice etico che costringerebbe forse ad eliminarne non pochi”.
Cercherò di esprimere il mio pensiero su questo delicato ed annoso argomento del quale malvolentieri si scrive ma molto si parla nelle riunioni di imprenditori.
Non vi è dubbio che un’ associazione di imprese con pochi inscritti, diciamo di “qualità”, può essere molto “virtuosa” ma conta poco, nel senso che non è sufficientemente ascoltata presso le istituzioni. Al contrario associati numerosi possono vantare più peso “politico” con il rischio però di abbassare la qualità dell’associazione stessa. E che dire poi del fatto che le Associazioni devono promuovere iniziative per la crescita imprenditoriale degli associati, per la loro formazione e per il loro sostegno? E non è nello spirito associativo aiutare un’azienda in difficoltà oggettiva?
Il vero problema politico per una associazione è quindi, in generale, decidere se fare e in che misura “proselitismo” o “selezione”?
La prima strada di tipo espansionistico procura danni alla “qualità” e scontenta gli associati migliori, la seconda strada rischia di creare invece una cattedrale nel deserto seppur “virtuosa”. Occorre dire che un’ associazione è “un insieme di individui/aziende uniti/e per uno scopo, per una finalità, per un interesse comune”. Lo statuto di ogni associazione infatti presenta sempre tra i primi articoli lo “scopo associativo o le finalità”. In particolare nelle associazioni di imprese lo scopo principale si riassume spesso in quello di (esempio tratto dallo Statuto ANACAM):
Art. 2 - Finalità
L'ANACAM persegue le seguenti finalità:a. tutelare gli interessi degli associati rappresentandoli nei confronti di enti ed organismi pubblici, privati e associazioni di categoria;b. ….omissis..”.
Da questo punto di vista, quindi, il numero degli associati, cioè il numero delle aziende che esprimono il loro punto di vista presso le istituzioni, risulterebbe determinante.
Già nel mio post del 4 luglio 2007 ho ribadito l’importanza dei “numeri” per sedersi intorno a certi tavoli.
Ciò non significa che le minoranze (ovvero le associazioni di piccole dimensioni) non vadano ascoltate e nessuna vieta loro di mettere in atto tutte le iniziative perché ciò avvenga, ma non vi è dubbio che numeri molto bassi non possono essere rappresentativi di un intero categoria.
Se lo scopo è quello di rappresentare gli interessi presso le istituzioni non vi è quindi dubbio che bisognerebbe attuare una politica di continuo “proselitismo” che punta a massimizzare il numero delle aziende associate.
E’ però oltremodo importante il fatto che le aziende siano omogenee, per poter condividere gli interessi comuni. Come pure devono essere “eticamente” corrette. Pena ambiguità e tensioni nella politica “interna”, ambizioni e conflitti.
Bene ha fatto ad esempio l’ Anacam a caratterizzarsi come associazione delle piccole e medie imprese ascensoristiche, privandosi delle aziende grosse e delle multinazionali confluite in Assoascensori; provando addirittura, ma non riuscendoci, a riorganizzarsi internamente in piccole, medie e grandi; infine dotandosi di un codice “etico”.
Mentre attuale è il dibattito in Confindustria che negli ultimi anni ha allargato la base associativa includendo pubblici, privati, ferrovie, poste, banche, commercianti, agricoltori, aziende di piccole e grosse dimensioni, creando così un “Blob” indistinto. Al contrario altri si battono per una nuova Confindustria, dopo Montezemolo, capace di creare reti di servizi industriali al servizio delle imprese migliori, riunite quindi in un specie di “Club” di qualità.
Come, risolvere quindi il problema della “qualità” dell’associato? E’ certo molto più semplice “allontanare” che “educare”, come è molto più semplice “condannare” che “redimere” le imprese. Diverso è stato, per esempio, l’atteggiamento delle varie Unione Industriali sul come trattare gli imprenditori ricattati dal racket (dentro o fuori?).
Secondo il mio parere, l’unica via possibile è quella della “espansione controllata”, quindi massima attenzione sui nuovi iscritti e poi continua educazione, formazione, crescita, coinvolgimento e sostegno in generale alle imprese associate mediante reti di servizi.
Una buona associazione si dovrebbe distinguere proprio per la capacità di gestire i fattori contrastanti sopracitati, coniugando le iniziative di crescita numerica con quelle di consolidamento, sostegno e servizio alle imprese associate (l’ANACAM ad esempio ha creato per questo secondo scopo la società di servizi ASSOLIFT).